FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

«MUOR GIOVANE COLUI CHE GLI DEI AMANO»

Riflessioni di una mattinata al Verano

16 giugno 2013: nel Cimitero del Verano avanza composto ed assorto, lungo il grande viale, il corteo dei partecipanti alla cerimonia che, come ogni anno, commemora i giovani caduti sul litorale laziale in quella lontana estate del ‘44.

La nostra estate ha indugiato a lungo nelle pieghe di un inverno che non voleva morire, oggi però un’esplosione improvvisa di calore affanna il respiro,  intorpidisce il pensiero e offusca la percezione del presente,  i fasci di luce che filtrano diafani tra le chiome degli alberi confondono i contorni delle cose e avvolgono lo spazio in uno scenario irreale.

Il brusio sommesso della gente che si incontra e procede fianco a fianco sullo stesso cammino non spezza l’impressione di profonda quiete che è la cifra abituale di questo luogo. Solo lo scricchiolio dei sassolini sotto i passi incide talora il sovrano silenzio. Cammino sulla punta dei piedi e vorrei essere leggera come una foglia d’autunno per fugare ogni inopportuno rumore.

I colori affievoliti dalla calura, gli odori pungenti e l’aria colma di ronzii richiamano, come per magia, un imprecisato passato: un anno, tre anni, vent’anni, una vita fa. Potrebbe essere l’estate di una stagione qualunque della trascorsa esistenza.

Il lento incedere fra le odorose siepi di bosso geometricamente frammentate dallo svettare dei cipressi, le secolari lapidi testimoni di mille vite, la ricercata solitudine, pur tra la nutrita folla che qui oggi si riunisce per onorare quelle giovani vite perdute, favoriscono il raccoglimento, inducono alla meditazione e il pensiero vola allo scorrere incessante del tempo. Ripercorro, senza volere, i molti anni alle mie spalle. Come in un lampo si accendono le immagini dell’infanzia: ancora bambina accompagno mia madre al vecchio cimitero fuori del paese, fiera del compito affidatomi, tormento nelle mie mani troppo piccole un fascio troppo grande di fiori, anche qui un filare di neri cipressi, lo stesso odore penetrante delle siepi e l’aroma dolciastro della cera che brucia incessantemente sulle tombe. Chissà come sarà oggi quel vecchio solitario cimitero, chissà  come riposano i miei morti in quell’angolo di mondo.

Ripenso poi alla giovinezza, alle tante emozioni che la vita mi ha regalato: gioie, dolori, allegria, pene, illusioni, speranze, entusiasmi, sconfitte, lo sguardo però sempre teso in avanti nell’attesa di un domani denso di nuove avventure, perché così è la vita scorre veloce come torrente fino alla vecchiaia travolgendo quello che incontra nel suo cammino,  poi a poco a poco si acquieta, l’orizzonte si accorcia, le speranze si affievoliscono, le attese si smorzano e allora l’anima si volge indietro alla ricerca di ciò che è stato e non può ritornare.

Mi viene alla mente il frammento di Menandro (111 K.-Th) «muor giovane colui che gli dei amano» (hon oi theoi philusin apothnēskei neos).

Perché, mi chiedo, un greco di migliaia di anni fa riteneva la morte precoce un evento favorevole tanto da ritenerla il segno dell’amore divino? Rifletto e la risposta non tarda a venire: il frammento di Menadro, che Leopardi ha reso famoso nella sua citazione «muor giovane colui ch’al cielo è caro», distilla una visione negativa della vita, intesa come dolore e fatica e soprattutto amarezza  e tristezza nella sua fase finale: coloro che muoiono giovani  non conoscono  la sofferenza dell’essere, e soprattutto a loro sono risparmiate le malinconie della vecchiaia, lo svanire dei sogni, l’avvilimento del declino, il prosciugamento dell’emotività che deriva dalla perdita di entusiasmo. Sì è così, nella corsa della vita, si giunge ad un momento in cui tutto sembra  offuscarsi e perdere sapore.

Ma poi guardo il rovescio della medaglia e penso: a coloro che muoiono  giovani quante cose sono però negate. Emozioni, amori, affetti, famiglia, figli e l’illusione della continuità  attraverso la generazione che ti segue.

Ripenso all’amica scomparsa nel fiore degli anni, quante cose di lei non ho vissuto, a mia madre che troppo presto se ne è andata, mi vengono alla mente le tante occasioni in cui mi è mancato il conforto della sua amicizia. Quante cose ho perduto, quante ne hanno perse loro stesse che più di niente hanno potuto godere? Allora una profonda tristezza mi invade al pensiero di quei giovani che hanno rinunciato al bene grande della vita, che coscientemente sono andati incontro ad una fine certa.

La vita è un gran dono, una magia. Sventura incomparabile perderla prima ancora di assaporarne la prodigiosa bellezza.

Quei giovani l’hanno volontariamente donata. Ci vuole molto, tanto coraggio.

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