FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

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Ricordando i Paracadutisti del Rgt. Folgore, caduti per l’onore d'Italia

Domenica 28 maggio a Roma, al Cimitero monumentale del Verano, quei paracadutisti che riposano all’ombra di alberi antichi, quei ragazzi di Sala e Rizzatti del rgt. Folgore, quei caduti sembravano essere presenti, vivi, insieme a chi li ringraziava per il loro senso dell’onore.

Perché la cerimonia che l’ANPd’I di Roma dedica loro, ogni anno, non è vuota forma, ma è sentita partecipazione, commozione, gratitudine per quei parà morti nella battaglia per Roma, sul fronte Anzio-Nettuno, rispondendo a un senso del dovere e dell’amore di Patria. A omaggiarli non c’erano solo i baschi amaranto, ma altre associazioni d’Arma, dall’Aeronautica alla Marina, ai Bersaglieri ai Carabinieri, tutti da tutta Italia con labari e medaglieri. In prima fila Santo Pelliccia, veterano di El Alamein e Narilli, Mario Tema e Harold Citterich, parà della Repubblica Sociale. Una cerimonia particolare perché sentita, commossa, partecipe, con la celebrazione liturgica in latino di rito tradizionale tridentino.

“Voglio salutare i ragazzi del nuovo corso di paracadutismo all’ANPd’I di Roma. Avete scelto la via più difficile…tenete sempre alti i valori di cui siete portatori…sperando che non dobbiate mai più vivere una battaglia come El Alamein…”. Quello di Santo Pelliccia, leone della Folgore dal deserto egiziano, è stato l’ideale passaggio di testimone di un paracadutista di ieri agli aspiranti parà di oggi. Un filo che unisce non solo la memoria, condivisa e dovuta, ma quei princìpi,  a cominciare dall’amor patrio, che non andrebbero mai lasciati indietro, pena il non essere più nazione sovrana, la perdita dell’identità storica e dell’etica.

Questi valori non hanno niente a che fare con le beghe politiche di partito, ma sono di tutti. Un ricordo che deve essere di gratitudine,  ancor più perché questi ragazzi hanno combattuto sapendo che sarebbero rimasti sul campo di battaglia. Eppure lo hanno fatto, per senso del dovere, per amore della Patria e delle loro famiglie, per religioso senso di responsabilità. Motivo ben spiegato dal Presidente nazionale dell’ANPd’I, generale Marco Bertolini, per cui questo è il ricordo più bello, perché non è nostalgico, di quella nostalgia fine e se stessa che non porta da nessuna parte.

“L’Associazione nazionale Paracadutisti d’Italia, che ho l’onore di presiedere, è nata nel dopoguerra e per l’iniziativa di soldati, in questo caso paracadutisti  ma so che non ci sono differenze, neanche con le altre Associazioni che sono venute qui così numerose.  Paracadutisti che avevano combattuto nell’ambito della Repubblica Sociale e paracadutisti che avevano combattuto in cobelligeranza con gli alleati oltre, naturalmente, ai paracadutisti dell’Africa settentrionale”, ha ricordato Bertolini. “Loro, dopo la fine della guerra, si seppero ritrovare in un’identità di valori fortissima, identità di valori alla quale dobbiamo il fatto che la nostra Patria, che era distrutta, venne poi ricostruita. Non arrivò un “marziano” a risolvere i problemi del nostro Paese, fu la loro volontà, fu la loro concordia alla quale dobbiamo ancora fare riferimento,  rigettando quella memoria del rancore che erige steccati e che sgomita e che invoca magari una legge per ribadire, per rinforzare la propria supposta supremazia…”.

Per questo è importante onorare le memoria di chi ha combattuto per la Patria. Ma va specificato quale tipo di memoria. “C’è una memoria della nostalgia, il desiderio di tornare ai vent’anni, che tanto  non torneranno, agli innamoramenti, gli entusiasmi di allora. C’è una memoria del rimpianto, “avrei dovuto fare e invece non ho fatto…”, che porta con sé il desiderio sciocco, inutile, di poter tornare indietro per poter fare quel che non si è fatto a suo tempo e così tacitare la coscienza. C’è poi un’altra memoria, direi la più brutta, la memoria del rancore: è una memoria che sgomita, è una memoria che mette steccati, è una memoria che considera la storia un’ordalia, una specie di giudizio di Dio che dà la vittoria ai giusti e la sconfitta agli ingiusti, che premia i primi e che punisce i secondi, a partire dall’oblio”.

“E c’è un’altra memoria, ed è quella che celebriamo oggi noi. È la memoria della riconoscenza”, ha specificato Marco Bertolini. “ La riconoscenza che tutti i popoli devono ai loro soldati. Perché – e qui mi ricollego anche a quella che è stata l’omelia del celebrante – i soldati sono quell’ingrediente indispensabile che fanno di una società, di una comunità, che fanno di un Paese una Patria. Non esiste Patria senza che esistano i soldati di quella Patria. Non esiste Patria senza che esistano i soldati che per quella Patria sono morti. E quando parlo di soldati non parlo di quelli fortunati, di quelli vincitori. Parlo dei soldati in generale, di tutte le epoche, di tutte le guerre che hanno visto lo sviluppo di questa Patria… Noi siamo il frutto di lavoro ma anche di sacrifici di soldati che si sono espressi nei secoli, spesso combattendo gli uni contro gli altri. Tutti questi soldati, i vincitori e i vinti, hanno la stessa dignità. Loro rappresentano quel tratto di sangue blu che scorre nelle nostre vene. Loro fanno del nostro Paese una Patria, della quale dobbiamo essere orgogliosi”.

Il presidente dell’ANPd’I di Roma, Adriano Tocchi, ha voluto riflettere sul perché del loro gesto, sui motivi che hanno portato la meglio gioventù di una generazione a cercare la “bella morte”, a scegliere la via più difficile. “La loro fu una scelta di profondo significato morale, operata in assenza di costrizioni, senza punti di riferimento precostituiti, in regime di assoluta autonomia di giudizio, condizione senza la quale l’approvazione e la disapprovazione morale non trovano fondamento. La verità, come nel caso dei nostri ragazzi, non è allora riflesso, semplice rappresentazione di una “realtà oggettiva” ma felice costruzione dal nulla e anticipazione di esperienze che valorizzano ed illuminano la vita dell’individuo e della collettività…E’ in questo modo che la storia del Reggimento Folgore si configura come “mito collettivo “, un mito sociale che ha motivato  e finalizzato l’agire.  Il mito fornisce “l’unità ideologica“ che anima ogni forza innovativa nel compiere la sua funzione storica destabilizzante e forgiare il futuro che la volontà creativa ha prefigurato.

Il mito ha la stessa funzione organizzativa del servizio militare: ambedue predispongono l’individuo a un’opera collettiva, informano i modelli di azione dei singoli componenti, additano mete e definiscono quei  doveri che conferiscono valore e significato morale alla vita. Per questo i miti sono il collante morale di un gruppo, di una comunità che intenda presentarsi come motore di  rinnovamento”.   Costruite su un sistema di fedi e ideali, dice Tocchi,  che ha tutte le caratteristiche emotive della religione poiché dogmatico, semplice e imperativo. “Al mito si lega, dunque, il senso di solidarietà e di adesione alla comunità stessa, e la straordinaria dedizione di tutti gli adepti.  Li persuade di essere destinati ad una impresa eccezionale e sublime e che sapranno  compiere azioni uniche e meravigliose sino all’ auto-sacrificio.  In una società ed in un’epoca storica caratterizzate da forti conflittualità, come quella in cui si svolsero i fatti ai quali ci riferiamo, agiscono una molteplicità di “forze antagoniste” che rappresentano ciascuna, elementi sociali animati da uno spirito di gruppo esclusivo, supportati da miti diversi e che, come tali, individuano nel gruppo estraneo l’ostacolo alla realizzazione dei propri obiettivi”.  

Condizioni storiche che favoriscono l’attivismo morale e tengono alta la tensione spirituale alimentata dal mito stesso e dove “ il combattimento, facendo appello al senso dell’onore che si sviluppa in tutti gli eserciti organizzati, crea le condizioni ideali per la vita morale. L’azione eroica compiuta con sentimento di dedizione impersonale, rappresenta così la virtù più grande….Questi paracadutisti sono stati gli eroi greci della nostra epoca decadente, soldati che hanno considerato la vita una lotta e non un piacere o una ricerca del piacere. Quel sacrificio ha rappresentato un atto coscientemente voluto da un gruppo di combattenti,  inteso come momento di rigenerazione sociale. Il loro esempio può, ancora oggi, autorizzarci a credere che la moralità non sia condannata a morire ma che rinnovabili siano le forze dalle quali può trarre alimento.

Credo fermamente che questa nostra comunità, per i legami forti che la caratterizzano, per la coerenza degli ideali e la fedeltà agli stessi di cui ha dato prova negli anni,  possa trovare in sé le energie spirituali per confermare e anche incentivare una moralità attiva”, ha concluso il presidente Tocchi.   La  moralità attiva è anche quel continuum spazio temporale che ha legato questi ragazzi per sempre, i vivi ai morti. Sotto la stele del Verano ci sono i ragazzi caduti in difesa dell’Italia, di Roma e dell’onore. Poco più in là, nel luogo che li aveva accolti prima di essere spostati sotto la collinetta dai dolci fianchi, riposano gli altri, quelli che nei cieli blu sono saliti dopo, che hanno vissuto portando nel cuore i commilitoni e chiedendosi perché non fossero stati uccisi insieme a loro. Forse, col senno di poi, potremmo dire che sono rimasti vivi per permetterne che si avesse memoria delle loro azioni, per assolvere a un dovere di passaggio di testimone, facendo in modo che siano ricordati per sempre.   


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