FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

Tempus Fugit

Piano, piano, quasi di soppiatto anche il 2013 sta volgendo al termine. Forse proprio nel tentativo di celare l’inesorabile fugacità del tempo, la nostra società colloca, in corrispondenza di questo periodo dell’anno, una serie di festività ravvicinate che ci fanno dimenticare lo scorrere dei giorni e ci proiettano fiduciosi verso ciò che sarà.

Il Natale con la sua girandola di strenne e di pranzi fuori dell’ordinario, l’attesa dell’anno nuovo salutato sempre come foriero di prosperi destini, la più mesta epifania ma anch’essa generosa di doni e dolcezze, ci danno una mano nel comune inconscio desiderio di far finta di niente, scordare che un altro anno della nostra vita se n’è andato con il suo carico di successi e fallimenti, sottrarci alle nostre responsabilità, evitare di tracciare un bilancio di ciò che abbiamo fatto, ma soprattutto di ciò che non abbiamo fatto nella direzione degli obiettivi materiali e morali che, è auspicabile, ci eravamo posti.

Forse non sarebbe male, per una volta, spezzare questo trend fiducioso, questo ottimismo collettivo distante dalla concretezza dei fatti  e proporci una modalità  realistica di riconsiderare il nostro percorso nell’anno che è agli sgoccioli. Anche alla nostra Associazione corre l’obbligo, se non altro morale, di mettere sotto la lente il recente passato e valutarne l’operato sulla base dei risultati conseguiti in relazione alle mete prefissate.

E poiché la maniera più oggettiva per misurare l’entità di qualsiasi fenomeno è quella  numerica, appare ragionevole iniziare questa analisi muovendo dai numeri che registrano gli esiti dell’attività della sezione di Roma dell’ANPd’I.

La nostra Associazione ha tra i suoi fondamenti, auspicabilmente non solo statutari, quello di preservare gli ideali e principi morali che hanno rappresentato il “primum movens “ dei ragazzi di Tarquinia, El Alamein, Poggio Rusco, Anzio e Nettuno. E preservare significa tramandare, trasmettere, dilatare i consensi.  La misura del consenso che una Associazione coagula intorno a sé è  data, almeno in linea teorica, dal numero degli iscritti. Il numero dei soci della nostra Sezione, 275 nel 2011, è passato a 354 nel 2012 ed ha superato i 500 nel 2013. Un andamento che può essere considerato soddisfacente.

La “ sospensione“ della leva obbligatoria è stata sofferta e indicata da taluni come una mutilazione irreparabile nella possibilità di conservare e trasmettere gli ideali, la spiritualità e i valori della tradizione, quindi vissuta come  una sorta di lenta morte per un’Associazione come la nostra che, almeno in linea di principio, si è sempre ritenuto dovesse trovare la propria linfa esclusivamente nei “congedati”. Con la sospensione della leva è, indubbiamente, venuto meno quel processo di attrazione che aveva stabilito nel tempo, una sorta di cordone ombelicale tra nostra specialità e i giovani della società civile.  Noi però abbiamo cercato di riallacciare questo cordone. Con questo spirito, infatti, abbiamo messo mano al riordino dei nostri corsi evitando qualsiasi scorciatoia, qualsiasi compromesso e agevolazione.

Il rigore che li contraddistingue non sembra avere spaventato i giovani che, maschi e femmine, si formano al paracadutismo nella nostra palestra in numero progressivamente maggiore: 22 nel 2011, 54 nel 2012 e 145 nel 2013. Pertanto anche da questo punto di vista i numeri sembrano confortare la nostra linea di pensiero e il nostro operato. Naturale e diretta conseguenza di questo risultato è l’impennata subita negli stessi periodi dal numero dei lanci: 98 nel 2011, 126 nel 2012 e, con molta probabilità, intorno ai 500 nel 2013.

Dunque, ancora numeri incoraggianti.

Potremmo incamerare questi risultati e dichiararci appagati. Ma l’insoddisfazione, se pure in misura diversa,  è insita nell’indole umana. Fortunatamente! Perché tale stato di perenne, forse estenuante, ricerca di ciò che sta oltre è da ritenere una molla propulsiva di insostituibile valore costruttivo.  “Gli animali sono assai più di noi soddisfatti per il semplice fatto di esistere; le piante lo sono interamente; gli uomini lo sono secondo il grado della loro stupidità“ ammonisce Arthur Schopenhauer. I semplici numeri, che sembrano bene assimilabili ai motivi della soddisfazione degli animali e delle piante, possono essere, infatti, variamente interpretati e, talvolta, usati per nascondere verità che si preferirebbe ignorare.

La “mission” della Associazione, in particolare,  non può  essere riassunta  dai soli valori numerici, ci vuole ben altro. L’Associazione, come noi tutti sappiamo, trova e riconosce la propria ragione di essere negli  ideali, nelle virtù militari e nella celebrazione della memoria  degli Uomini che hanno reso mito la storia dei Paracadutismo Militare Italiano.  Dovrebbe pertanto concorrere a far rivivere e  stimolare quei sentimenti di fervore, passione, orgoglio di appartenenza che rappresentarono l’anima, il credo dei nostri padri all’atto della costituzione del nostro sodalizio.

Ma su questa via, a tutt’oggi, il cammino è risultato, per noi, faticoso, avaro di soddisfazioni e talvolta non condiviso a pieno neanche dal ristretto numero di coloro con i quali ci siamo imbarcati in questa difficile e onerosa avventura. La debole favilla stenta a divenire fiammella e, certamente, non ricorda in alcun modo il fuoco che arse nei cuori di quei tanti Paracadutisti che non mostrarono esitazioni  neppure di fronte all’estremo sacrificio.

Ogni volta che ad uno sforzo  non corrisponde il risultato atteso  è naturale che ci si chieda se,  dove  e in cosa si è sbagliato. Un errore di metodo, un esempio o una azione insufficientemente incisiva? O piuttosto  l’insuccesso  è  da attribuire alla presunzione di risultati che sarebbero dovuti essere giudicati irrealizzabili  in premessa?

Viviamo in una società complessa che richiede ad ognuno di noi un dispendio di energie e risorse forse superiori a quelle naturalmente disponibili. La quotidianità ci impone ritmi accelerati che non lasciano spazio neppure alla riflessione sugli obiettivi del nostro frenetico fare, sul senso del nostro procedere: per chi? Per cosa? Mentre il venir meno di quella solidarietà che aveva tenuto insieme le comunità del passato ci fa sentire soli  e indifesi “Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole ed è subito sera”. Quali parole meglio di questo frammento poetico possono esprimere la fragilità del nostro essere, il senso di precarietà che accompagna la nostra esistenza. Oggi, più di ieri, essa ci appare come un breve soffio, e, quando ci fermiamo a pensare a quel senso di essa che generalmente ci sfugge e proviamo a stringerla in un pugno, niente sembra restare tra le nostre dita.

Se poi alle difficoltà proprie di questa nostra società  si uniscono  le prove che da sempre l’uomo ha dovuto affrontare: malattia, sofferenza morale della perdita, strazio dei sentimenti, angoscia delle difficoltà pratiche, si potrà comprendere come tutto ciò renda il cammino di ogni giorno un percorso ad ostacoli che ci disorienta e tiene occupato tutto lo spazio della nostra mente.  Nessuno può passare indenne attraverso l’esistenza. E’ dunque comprensibile che il tempo residuale da questa tempesta quotidiana sia piuttosto limitato, che ognuno fatichi per tenere il passo.  L’Associazione può rappresentare lo spazio dove riconoscere se stessi in una comunità, stare con camerati, ritrovare quella solidarietà altrove scomparsa, quella condivisione di valori che corriamo il rischio di perdere, quel calore che spesso non troviamo nelle relazioni umane di tutti i giorni.

Con il lavoro sin qui  svolto, un primo, modesto passo  in questa direzione è stato compiuto ma tutto questo ha un costo e non viene da se. Qualcuno ha obbedito all’impulso di quella luce ed ha costruito. Ma ciò che cala dall’alto, non può avere la pienezza di ciò che noi stessi contribuiamo a creare; anche se sembra corrispondere alle nostre esigenze, non può generare lo stesso senso di completa adesione e partecipazione, l’orgoglio di sentirsi artefici del proprio divenire.

L’Associazione non deve essere perciò soltanto un luogo di  occasionale incontro e  svago, ove trovare un brodo caldo preparato da altri, ma farsi casa, ambiente fisico ed  ideale, alla cui gestione ordinata e razionale contribuiscano tutti i suoi abitanti. Solo così essa potrà essere spazio confortevole a misura di tutti e di ognuno, fucina operosa in grado di far germogliare ancora e assicurare continuità alle antiche radici. Occorre che ognuno, facendo leva sulla sua più autentica anima di paracadutista, superi le difficoltà di ogni giorno e avverta l’obbligo, verso se stesso e verso la nostra Comunità, di portare “la sua pietra al cantiere”.

Questo, è auspicabile vorrà essere l’impegno dei Paracadutisti Romani per l’anno che verrà!

Buon Anno.

A.N.P.d'I. sez. di Roma

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