FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

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Il 25 aprile e la "parte sbagliata" della storia

Un 25 aprile essenziale e molto significativo: da quest'anno, nel Campo della Memoria di Nettuno, i Paracadutisti del Rgt. "Folgore" hanno una Loro targa, vicino a quegli altri Soldati che hanno scelto la "parte sbagliata", quella perdente in tutti i sensi, della propria vita in primis, tanto che i reduci, ricordiamolo sempre, si definivano "involontari sopravvissuti".

Ma la "parte sbagliata" non era però perdente sotto l'aspetto dell'onore, poiché -va ben ricordato- essi da Uomini e da Soldati ritennero di non poter accettare quella che prevedevano essere un'eterna macchia di vergogna e disonore su una Patria che cambi alleato e "salti sul carro" di quelli che erano oramai gli imminenti vincitori.

In una cerimonia sobria, organizzata dall'Associazione Campo della Memoria (nata dalla Xª MAS) che ha visto affluire numerosi partecipanti, tra cui, schierati, una ventina di Paracadutisti di Roma - di fronte all'altare ed alla Croce di Sant'Andrea di un ben curato e degno Cimitero Militare - ha preso la parola, tra gli altri, il par. Adriano Tocchi, rappresentando il valore della presenza della propria Sezione ad una celebrazione e ad un'affermazione di valori ideali, prim'ancora che ad una commemorazione storica. Ha poi ricordato l'ammirevole, tangibile ed autentica testimonianza di fratellanza e reciproco riconoscimento di valori ideali che ha visto protagonisti i Paracadutisti che, a fine guerra, si incrociarono seguendo le opposte direttrici nord-sud ma, appunto, accomunati da medesimi e reciproci sentimenti di cameratismo e sincero rispetto, nonostante le ferite e le perdite che ognuna delle parti aveva duramente sofferto. Il presidente ha infine concluso notando come –purtroppo- non sia stato affatto seguito l'esempio fornito con quel comportamento da quei meravigliosi "Ragazzi", il quale indicava così esemplarmente la giusta strada nella ricostruzione morale, vera, dell'Italia.

E ricordiamolo l'episodio, dalle parole del Tenente Tomasina (da pochi mesi "andato avanti" a raggiungere i Suoi): il 6 maggio 1945 i Paracadutisti del Rgt. "Folgore" che avevano appena avuto "l’onore delle armi dalla 1a Divisione corazzata Americana in Val d'Aosta, furono avviati verso il campo di concentramento di Coltano, vicino a Pisa, e la colonna degli autocarri, nei pressi del ponte di barche sul Po a Piacenza, incrociò un’altra colonna, diretta al Nord, che trasportava i Paracadutisti che avevano combattuto contro i tedeschi con i Reparti del Regio Esercito del Sud. Si riconobbero, i commilitoni che la guerra aveva diviso, e scesero dagli autocarri per abbracciarsi e fu allora un generale istintivo abbraccio, mentre i soldati americani della scorta e gli inglesi guardavano sbalorditi e senza capire. Quando le colonne ripresero a muoversi verso opposte direzioni si alzò forte il canto di battaglia dei Paracadutisti italiani “Come Folgore dal cielo…”.

Veniamo ora ai giorni nostri, catapultati da quei memorabili fatti ai meno, molto meno memorabili giorni nostri, con però una piccola premessa "antica": ai tempi dei Romani alcuni loro popoli nemici usavano tranquillamente uccidere i messi disarmati, i semplici latori di messaggi tra contendenti in una guerra. E forse a volte i Romani stessi se ne sorpresero, come di un segno di barbarie evidente, di civiltà prettamente primitive. L'etica in generale infatti, così come quella militare, non è fatta di princìpi immutabili ed eterni, bensì essi -proprio come le app dei nostri telefonini- si "aggiornano", e lo fanno sui livelli di civiltà di quel dato popolo il quale, naturalmente, si evolve od al contrario involve.

Chiaramente trattandosi di materia etica il primo suo riferimento, la prima fonte della doverosità di un dato comportamento, dovrebbe trovarsi nell'animo della persona umana prim'ancora che nelle codificazioni delle regole giuridiche; e su questo non è dato trovare dubbi nemmeno nella dottrina più alternativa a quella pacificamente dominante. Ebbene uno di tali precetti legati all'etica militare, e quindi ad alte e precise idealità di un popolo, è quello del rispetto del nemico: il nemico, di qualsiasi colore sia la sua uniforme, combatte pur sempre per dei propri valori, e sono in definitiva le medesime idealità a sostenere il coraggio e lo spirito di sacrificio del Soldato, quale che sia la sua appartenenza.

Tale rispetto è sancito oggi in modo cristallino nelle norme internazionali, così come in quelle di ogni esercito di ogni nazione, ed è ben chiaro com'è scolpito tale obbligo nel Codice d'Onore del Legionario (francese), nella sua 7ma ed ultima regola: "In battaglia agisci senza passione e senza odio, rispetti i nemici sconfitti, non abbandonerai mai i tuoi morti, i tuoi feriti o le tue armi". Non di meno il rispetto del nemico, della vita e della morte, trova suoi precisi riferimenti nella religione Cristiana, i cui fondamenti -va ribadito- sono alla base della nostra cultura, per quanto siano da taluni messi in dubbio.

Purtroppo oggi in Italia è impossibile parlare di rispetto del nemico visto che, ad oltre 70 anni da quell'estate del '43 che ignobilmente aprì l'Italia al sangue della fratricida e bestiale guerra civile, il rispetto -umano e cristiano- per chi ha combattuto dalla "parte sbagliata" non c'è mai stato: e continua a mancare. Le Istituzioni continuano a partecipare a manifestazioni, e declamano discorsi sempre assolutamente simili, dove ogni anno qualche aggettivo viene cambiato, gli avverbi sostituiti, ma sempre tutto è preliminarmente ed avvedutamente soppesato.

Mentre continuiamo intanto ad assistere anche, increduli e disgustati, a manifestazioni dove pubblicamente si urlano ed intonano addirittura cori inneggianti le foibe, dimostrando palese ignoranza e disprezzo nei confronti di tante migliaia di vite, in una tragedia storica italiana di portata tutt'altro che marginale.

E poiché questi ben individuati personaggi sentivano di aver fatto "cosa buona e giusta" con quei cori, oggi insistendo festeggiano il 25 aprile innalzando una forca pubblica in piazza, nella quale si incitano i bambini a colpire col bastone la testa del pupazzo appeso a testa in giù per raccogliere una pioggia di dolci caramelle: giusto premio per un cranio rotto. Che amarezza! In questa Italia non posso e non voglio riconoscermi. Nell'ignoranza barbara, rozza e feroce, nel disinteresse -quando non anche nella connivenza- verso il dovere di costruire e diffondere la conoscenza di quella Storia, scritta con la esse maiuscola, che non è mai stata degnamente approfondita sia a causa delle omissioni e ritrosie di chi la doveva contribuire a formare dando agli storiografi le proprie documentazioni e precise conoscenze (e parlo chiaramente dei politici -protagonisti e comprimari- della sinistra italiana), sia per l'indifferenza di chi la Storia la dovrebbe difendere e diffondere, la Scuola in primo luogo.

E' ora che si cambi registro. Che si chiariscano le reali idealità nelle quali sentiamo di riconoscerci come popolo e come nazione Italia. E' ora che si riconosca il doveroso, necessario rispetto delle scelte e delle personalità altrui e che soprattutto, coloro che sono tanto primitivi nello spirito quanto selvaggi nei modi, siano messi a tacere tutti. Ed una volta per tutte. Le Autorità politiche e quelle della Chiesa di Roma vadano a rendere un minuto di rispettoso saluto alle anime di quei defunti della "parte sbagliata", e mostrino a tutti quel gesto come vero segno di riconoscimento di una Cultura, come quella dalla quale dovremmo essere permeati, che ha Tradizioni e Valori che non sono solo sulla carta ma nei quali veramente crede, rispettandoli.

​Le Istituzioni devono far sentire la loro voce chiaramente, perchè sono state generosamente latitanti per troppi anni, e sono pertanto pienamente responsabili di quanto accade nel Paese.

Come ben dice oggi, 25 aprile, un Paracadutista di grande spessore e carattere, oltre che profondo osservatore dell'animo umano, qual è il Colonnello Carlo Lenti: "La Bandiera tricolore deve essere libera di volare e vibrare nell'aria, non "ancorata" simbolicamente a un pennone, in attesa di ricevere (soprattutto nelle cerimonie istituzionali) finti e ipocriti atteggiamenti oramai divenuti ripetitivi, stucchevoli e desueti..." ​

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