FUNE DI VINCOLO

SI PRECISA CHE QUANTO ESPOSTO NEGLI ARTICOLI NON RAPPRESENTA, E NON PUÒ RAPPRESENTARE, NÈ LE POSIZIONI DELLA SEZIONE DI ROMA NÈ TANTOMENO QUELLE DELL'ASSOCIAZIONE, MA COSTITUISCONO MERAMENTE OPINIONI RIFERIBILI AL SOLO AUTORE.

Cominciamo a parlarne *

*Nel precedente articolo, “Ancora per una nuova associazione”, l'autore auspica l'apertura di un dialogo politico tra i soci. Questa nota, oltre a rappresentare un primo passo in tale direzione, vuol essere un invito a tutti coloro che frequentano il nostro sito a comunicare le proprie considerazioni su un tema che ci interessa tutti da vicino.

Superata (forse, solo mal digerita) la fase acuta dell'emergenza, il sistema politico ha raggiunto contezza che il gioco non è valso la candela, che i danni  in consensi politici hanno, di gran lunga, ecceduto i vantaggi di immagine prodotti dalla condivisione e sostegno collegiale offerto ai diktat dei professori.

Il sistema politico, in debito di ossigeno, è alla ricerca di una via di fuga che consenta un giustificato e onorevole ritorno al tradizionale, piccolo cabotaggio politico, caratteristico della prima, seconda e, probabilmente, se non interverranno eventi eccezionali, anche della terza repubblica. Le malcelate speranze che il “governo tecnico” potesse offrire opportunità politiche nuove sono andate deluse. Invece di cogliere l'occasione per realizzare, ad opera di uomini nuovi e attraverso assetti programmatici e culturali innovativi, una svolta politica significativa e funzionale, i partiti non sono andati oltre le solite, stantie schermaglie parlamentari riuscendo, anche, in questo breve lasso di tempo, a far assurgere al ruolo di pericolosi antagonisti politici guitti, comici e farseschi epigoni della commedia buffa italiana.

In tutta questa colorita sarabanda, però, un argomento, apparentemente politico, ha continuato a tenere banco, ad essere dibattuto, aggiornato, questionato, di assoluta attualità, e a rappresentare motivo dell'instancabile attenzione e operosità di parlamentari, senatori ed oltre, anche durante il torrido periodo  estivo: la legge elettorale. Pur essendo ben note a tutti le carenze e le  inappropriatezze  della legge attuale, non si può fare a meno di osservare che il periodico riemergere del problema, come scadenza ineludibile, a ridosso delle elezioni non possa non essere considerato  quantomeno sospetto.  Proporzionale, porcellum, premi di maggioranza a partiti o coalizioni,  lungi dal sostanziare la difesa dei legittimi diritti dell'elettore, hanno un unico, comune, seppure diversificato, obiettivo: plasmare una legge che si adatti, nella migliore misura possibile, alle esigenze contingenti dei partiti e delle eventuali coalizioni in modo da conservare, se possibile, avvantaggiare gli interessi consolidati e difendere gli attuali protagonisti della politica italiana.

Sondaggi recenti evidenziano che il 40%, circa dell'elettorato dichiara di essere indeciso o orientato al non voto, mentre un terzo del restante 60% si dichiara favorevole ad un voto di protesta,  in appoggio a formazioni non riconducibili nell'attuale sistema politico. Non c'è che dire: una bella testimonianza di fiducia nei confronti di quei partiti che continuano a candidarsi alla guida del  Paese, impassibili  di fronte al serpeggiante malcontento. I partiti della sinistra, più o meno, “storica”, attraverso la ricerca di nuove sinergie,  mirano a vincere le elezioni, ma ben sanno che la attuale situazione economica interna e il complesso dei vincoli internazionali li costringerebbe, una volta al governo, a proseguire nella direzione di misure politico-economiche impopolari e assai poco gradite all'elettorato di sinistra. Il fronte dei partiti di centro-destra, o quello che ne resta, indebolito dalle disavventure politiche e personali di alcuni dei suoi esponenti, risulta, in aggiunta, frazionato dall'esistenza al suo interno di pulsioni populiste e separatiste che hanno reso e continuerebbero a rendere difficile la trasformazione dell'eventuale consenso elettorale in idoneità di governo.   Panorama scoraggiante, che diviene inquietante, ove vengano messi a fuoco alcuni aspetti di quella che può, a diritto, essere considerata la gora stagnante della “non politica” italiana.

E' ben chiaro a tutti che siamo entrati, pian piano, con navigazione a vista, in una delle più gravi crisi economiche che abbiano colpito la nostra Nazione. Quali sono state le chiavi di lettura della crisi (non parliamo di proposte di correzione!) indicate dai leader politici, prima di riconoscere la propria impotenza e avvertire la necessità di  cedere, vergognosamente, la guida del Paese ai tecnici? E' lecito arrogarsi il ruolo di politici e, poi, di governanti nell'evidente, assoluta incapacità di leggere ed interpretare gli eventi che scandiscono il  tempo storico che attraversiamo? Questi stessi signori dovrebbero, oggi, domandarsi a quali componenti della società vorranno rivolgersi, con quale credibilità. E con quali realistiche proposte d'innovazione culturale ed economica? Quali concreti ed attuabili programmi di giustizia sociale, di aggiornamento ed adeguamento del sistema produttivo si vogliono prospettare al Paese perché possa affrontare con qualche probabilità di successo l'attuale emergenza e le sfide del futuro? Per troppo tempo si sono ignorate, ma più propriamente nascoste, le abissali faglie che separano Nord e Sud, cittadini istruiti e non istruiti, ricchi e poveri, aree a forte industrializzazione e aree deprivate.

Questo spaccato della Società italiana messo a confronto con il lessico, gli orientamenti propositivi e le capacità attuative dimostrate dai partiti, sembra indicare che non da questi ultimi potrà venire la soluzione dei problemi della prima. Basta, a questo proposito, vedere quanto occorso negli ultimi decenni, quando coalizioni di sinistra e destra, messe insieme per vincere le elezioni, si sono decomposte per l'impossibilità di affrontare, con visione univoca, i problemi della “real politic” nazionale. E' bene, però, ricordare che questi successivi eventi di aggregazione e disaggregazione di partiti non hanno minimamente intaccato lo statalismo, collaudato e perverso meccanismo che mantiene ben saldi tra loro e alimenta i diversi pezzi del sistema politico, economico e sociale. Nessuno di quanti si muovono nelle segrete stanze della politica  può avere interesse di abbatterlo.

Di fronte a questa situazione stagnante, c'è chi, più o meno sommessamente, propone l'ipotesi di un nuovo governo tecnico quale unica via di uscita per una democrazia moribonda.  In una parola: il fallimento della politica. E' probabilmente vero, il popolo, la gente, almeno quella che vuole continuare a pensare, non si fida più dei politici perché ha capito che l'unico loro obbiettivo è quello di vincere le elezioni e tener ben saldo il potere. Ciò non significa che non sia più avvertita l'esigenza di una Politica con la P maiuscola, una Politica cioè che si prenda in carico il cittadino e torni a parlare un linguaggio leale, coraggioso, lungimirante, proiettato al futuro nell'ottica di uno stato sociale ed effettivamente solidale.

Per realizzare questo irrinunciabile cambiamento occorre uno scatto, occorre lasciarsi alle spalle l'attuale politica e ritornare alla Politica vera, quella dei nostri Padri, alla politica intesa cioè come servizio al cittadino, come strumento per il compimento del bene collettivo.

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